In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
“In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole
si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore
e gli astri si metteranno a cadere dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle
nubi con grande potenza e gloria.
Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro
venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate questa parabola:
quando ormai il suo ramo si fa tenero e mette le foglie,
voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi,
quando vedrete accadere queste cose, sappiate che
egli è vicino, alle porte.
In verità vi dico: non passerà questa generazione
prima che tutte queste cose siano avvenute.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce,
neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Parola del Signore.
Siamo alla fine dell’anno liturgico, stiamo per salutare l’amico Marco e Pietro,
suo maestro.
Domenica prossima affronteremo la sconcertante festa della regalità di Cristo,
poi ci sarà l’Avvento per prepararci a sopravvivere alla tragedia del Natale
(non che sia una tragedia, è che così l’abbiamo ridotto!).
Le ultime settimane a me hanno segnato l’anima; quell’amore da accogliere
e dare, la povertà che diventa dono.
Oggi, invece, la Parola ci orienta in una direzione ostica e impegnativa,
c’invita a guardare avanti e altrove e con un altro sguardo.
È uno dei temi più trascurati della fede cristiana, essendo la Chiesa tutta intenta,
in questi fragili tempi, ad andare all’essenziale; è il tema del futuro, della fine del mondo.
Che cosa succederà domani?
Come andrà a finire la Storia? Che ne sarà di noi?
Predicazioni medievali e film di serie B ci rappresentano la fine del mondo come un
delirio di fiamme e di distruzione, come il sommo giudizio finale fatto di caligine e di paura.
La colpa di questa interpretazione approssimativa è del linguaggio apocalittico
usato da alcuni libri della Scrittura, come il brano di Daniele che leggiamo oggi,
fatto di forti immagini da non prendere alla lettera.
Ciò che i cristiani hanno capito è semplice; Cristo, risorto e asceso al Padre,
tornerà nella pienezza dei tempi, tornerà per completare il suo Regno, le anime
dei nostri defunti riprenderanno i propri corpi trasfigurati e risorti e sarà la pienezza.
Nel frattempo—e questa è una nota dolente—Dio ha affidato alla Chiesa
con le sue fragilità il compito di far crescere il Regno.
San Paolo si chiedeva; perché Cristo tardasse tanto, avendo le comunità
una fortissima tensione per il ritorno del Signore.
La sua risposta è emblematica; se Cristo è il capo, la testa, e noi siamo membra
di un corpo, Egli tornerà solo quando tutto il corpo sarà sviluppato e pronto.
Questo è il tempo della Chiesa.
Non il tempo di restare seduti e aspettare (come sta succedendo), ma di
annunciare il vangelo, finche il Signore torni.
Una corrente del pensiero ebraico contemporaneo invita tutti, anche i non ebrei,
a comportarsi secondo rettitudine, per accelerare la venuta del Messia, per noi il ritorno.
Non è una ragione sufficiente per cambiare il mondo a partire da noi stessi?
Gesù ci ammonisce; la costruzione del Regno non è necessariamente semplice,
non è un passaggio di gloria, essere travolti dal vangelo e iniziare il cammino
di discepolato significa porsi in un atteggiamento di cambiamento perpetuo,
di fatica nell’affrontare le contraddizioni del sé e del mondo.
Il Regno subisce violenza, non si manifesta con adunate oceaniche e opere mirabolanti.
Nel segno della contraddizione, della fatica si trova il Regno, fra il già e il
non ancora, allontanandoci dalla logica manageriale del successo ad ogni costo.
Gli angeli radunano i discepoli dai quattro angoli della terra, coloro che affrontano
con serenità la costruzione del Regno vengono radunati e sostenuti.
Solo la Parola e la certezza di avere sperimentato Dio o di averne intuito la presenza
ci fanno andare avanti tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.
È per me segno d’immensa consolazione, accorgermi di quanto bene il Signore
stia facendo nei vostri cuori e di come la Parola sia ormai la luce per molti
cercatori di Dio e consolazione per gli sconfitti.
La Parola, che non passa, ci dice che il Signore è alla porta e chiede di entrare.
Non è facile vederlo, naturalmente.
Ma intravvedo l’opera straordinaria che il Signore compie in me e in voi.
Arresi alla Parola, nonostante la fatica, il dolore, la logica del mondo che ancora
alberga nei nostri cuori, nei nostri giudizi, vedo lo Spirito che avanza
e dice alla sua sposa, la Chiesa; vieni!
Io la vedo così; e voi?
Santa Domenica con la Parola del Signore; Fausto.
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