lunedì 5 novembre 2012

Il Vangelo della 31° Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Marco (12,28b-34) anno B.
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi
che li aveva uditi discutere,
e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò:
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele.

Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque
il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua mente e con tutta la tua forza.
E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.

Non c'è altro comandamento più importante di questi».
Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro,

e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori
di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e
con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso
val più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente,

gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Parola del Signore.
Siamo ciechi e mendicanti.
Ai margini della Storia possiamo passare il tempo a rassegnarci o a piangerci addosso o,
come Bartimeo, gridare a squarciagola il nostro dolore, senza rassegnazione.
“Tempo sprecato”, ci dice il mondo attorno a noi.
Il Nazareno, invece, sente il nostro grido e ci manda a chiamare.
Guariti nel profondo, fatta luce nella nostra vita rabbuiata, seguiamo Gesù per
la strada, dicendo agli altri mendicanti: “Coraggio, alzati, il Signore ti chiama!”.
Questa è la Chiesa; un popolo di ex ciechi, ma ancora mendicanti,
che gioiscono nel raccontare a ogni uomo il volto compassionevole di Dio.
E di quanta luce necessitiamo, ancora e ancora,
per capire nel profondo l’immensa pagina di oggi!
Qual è la cosa più importante della vita e della fede?
La domanda del nostro amico è, in fondo, la domanda, l’unica vera domanda
che vale la pena di porsi e a cui rispondere, l’unica.
Per il nostro amico zelante si trattava di districarsi tra una fitta ragnatela di divieti
e lacci, oltre seicento, che il pio israelita era chiamato a vivere ogni giorno.
Per Gesù diventa l’occasione per andare all’essenziale, per invitare lui e noi a superare
la sindrome della risposta giusta, per approdare—infine—al senso della vita per me.
Per che cosa vale la pena di vivere?
La domanda che portiamo nel cuore, tutti, necessita di una risposta, prima o poi.
Come Bertimeo, cieco, anche noi mendichiamo una risposta e non troviamo
il senso dentro noi stessi, abbiamo bisogno che qualcuno ce la doni.
È il punto di partenza per ogni ricerca, per ogni vita; cercare, chiedere,
ammettere con disarmante semplicità che siamo fragili e non troviamo
in noi stessi, davvero, una qualche ragione per vivere.
Lo scriba è più interessato a far sfoggio di cultura che a mettersi in
discussione, in lui la Parola si è inaridita ed è diventata ricerca di approvazione,
non inquietante interrogativo.
Qual è la prima cosa, Rabbì?
Nonostante la gente c’inviti a tacere, a rassegnarci, a non far rumore, come Bartimeo,
urliamo più forte, chiediamo pietà e luce; il Signore passa e ci chiama,
c’invita ad alzarci, ad abbandonare il mantello, a non dar retta ai troppi falsi profeti
dei nostri amari giorni che c’invitano a non illuderci, a godere, finche possiamo.
Qual è il senso della vita, Maestro Gesù?
E Gesù sorride, benevolo, e spiega: “Lasciati amare, àmati, ama”.
Lasciati amare da Dio, anzitutto.
Può l’amore essere un comandamento?
Posso comandare di amare Dio? È assurdo, No? È un controsenso!  
L’amore è scelta, è libertà, è sentimento.
Posso rispettare, temere, ma non amare, se vi sono costretto.
Esiste una verità semplice, un comandamento prima del primo,
un comandamento “zero”; lasciati amare.
Dio ci ama, quando lo capiremo?
Ci ama senza condizioni, senza possesso, senza costrizioni.
Ci ama non perché meritevoli (che amore è un amore che pone condizioni?),
ci ama non perchè buoni ma, amandoci, ci rende buoni.
Lo so, magari il nostro cuore è indurito, rinchiuso in una gabbia di dolore,
non riusciamo a vedere questo amore perché la rabbia di non essere
stato ci ha intossicato il cuore e la mente.
Fidiamoci amici,lasciamoci andare, non scherzo, davvero.
Dio sul serio ci ama, sul serio desidera per noi il bene, davvero.
Gesù è morto per affermare questa certezza, ci ha creduto e ne è morto.
La seconda condizione per cui vivere; àmati.
Quando Gesù afferma, di amare il prossimo come se stessi, ci obbliga a
guardare il rapporto che abbiamo col nostro “dentro”, col nostro intimo.
Àmati, cioè accettiamo ciò che siamo, i nostri limiti, le nostre parti oscure.
Un falso cristianesimo c’impedisce di gioire di noi stessi, vedendo
in questo atteggiamento un atto di egoismo.
L’egoismo è, invece, non accettare il proprio limite, volere
accaparrare invece di fare della propria vita un dono.
L’egoismo appare, si sforza di vendere un’immagine di sé che
gli impedisce di rientrare in se stesso e gioire.
Ci amiamo Fratelli? Ci perdoniamo?
Siamo convinti che ciò che siamo può diventare un capolavoro?
Certo, magari ci vuole tutta la vita per imparare ad amare.
Ma si può fare, sul serio, guardarsi come ci vede Dio, non come il nano delle nostre
paure né il gigante dei nostri sogni, ma come persone che dio ha pensato e amato.
Allora posso amare dell’amore che ho ricevuto e che ha trasfigurato il mio cuore,
allora posso davvero vivere riconciliato nel profondo con chi mi sta accanto.
Infine, il Maestro ci dice; ama.
Ama Dio perché ti scopri teneramente amato, amalo perché te ne innamori,
amalo come riesci, ma tutto, interamente.
Non esiste l’amore puro, non esiste il gesto totale, il nostro amore, spesso,
è vincolato, fragile, appesantito.
Pazienza; tu ama con tutto ciò che riesci, come riesci, ama senza paura,
ama anche miseramente diceva Madre Speranza; ma ama.
Eccolo il segreto amici; scoprire di essere amati da Dio di un amore folle,
ma anche di essere amabili, di diventare capaci di amare nel nostro
modo un po’ grossolano e fragile.
Dio ci rende capaci di amore, di luce, di pace, di essere segno e dono,
di donare, di contrastare la logica di questo mondo.
Difficile vero. Tante volte si ha l’impressione di nuotare controcorrente.
Ma nel fiume solo i pesci morti seguono la corrente.
Ciao e grazie a tutti Fausto.      

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