Dal Vangelo secondo Luca (9,18-24)
anno C.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in un
luogo appartato a pregare e i discepoli
erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io
secondo la gente?».
Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia,
per altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?».
Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
«Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli
anziani,
dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e
risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria
vita per me, la salverà.
Parola del Signore.
Chi sei, Nazareno? Chi sei, per me?
Tra ieri e oggi, milioni di persone si raduneranno per ascoltare
la tua Parola, per celebrare, in obbedienza al tuo comando,
la cena che ti rende presente nel segno del pane e del vino.
Ciò non accade per Garibaldi, o per Napoleone.
Accade per un oscuro falegname di Nazareth, ebreo marginale, perso nei
meandri della storia, la cui presenza viene ancora professata da
milioni
di persone diverse, eppure affascinate e rese discepole dalla
testimonianza
di coloro che dicono di averlo incontrato.
Si parla, spesso, del Nazareno e dei suoi discepoli.
Appena l’attenzione cala, ecco un qualche evento che lo riporta alla
ribalta;
una scoperta archeologica che conferma o smentisce la versione
ufficiale
della vita di Gesù, un qualche evento drammatico che ci riporta alla
mente
la fatica della testimonianza pagata da alcuni con la vita, un film ben
congegnato e abbastanza onesto che sbanca i botteghini e fa divampare
una
polemica infinita, facendo dimenticare che, in fondo, è pur sempre e
solo un film.
Gesù fa discutere, schierare, accende gli animi, ognuno, un poco,
si sente di difenderlo, di proteggerlo, di capirlo, di interpretarlo.
Credenti o non credenti, quest’uomo che paga con la vita la sua
coerenza e la sua non violenza ancora scuote e interroga.
Chi sei, davvero, Nazareno?
Un grande uomo della storia divinizzato dai propri discepoli?
Un profeta sopravvalutato, un anarchico inquadrato dalla storiografia
ufficiale?
Nessuno potrà mai possederlo in pienezza, nessuno afferrarlo con
verità,
nessuno darne una visione definitiva, neppure la comunità dei suoi
discepoli,
che pure ne conserva fedelmente la Parola e che, sempre,
apre il cuore alla comprensione del mistero della
sua presenza per farla risuonare lungo la storia in attesa del suo
ritorno.
Eppure, alla fine, la domanda arriva, diretta, senza scantonamenti: “Lascia
stare cosa ne pensa la gente. Chi sono io per te?”.
A voi la risposta, amici, senza tentennamenti o risposte da catechismo,
per favore.
Cuore a cuore, nudi davanti alla nostra coscienza, disarmati dai tanti
pregiudizi
nei confronti della Chiesa e di Cristo, con cui il nostro tollerante
mondo
ci riempie la testa, chi è per me il Nazareno?
Compagno? Amico? Dio? Maestro? Nostalgia? Ricerca? Rabbia?
Pietro risponde, con forza e decisione, osando dire ciò che gli altri
discepoli
neppure avevano il coraggio di pensare: “Tu sei il Cristo”, cioè l’atteso,
l’inviato da Dio, il consacrato, il Messia invocato con passione da
Israele.
Ma Pietro ancora non sa cosa lo aspetta.
Gesù lo ammonisce; sì, Lui è l’atteso, lo svelatore di Dio, il
raccontatore del suo volto.
E il volto di Dio, che Gesù conosce bene, perché Lui e il Padre sono
una
cosa sola, è così diverso da quello che Pietro (e noi) ci saremmo
aspettati.
Non un Dio forte che mostra i bicipiti, non un Dio onnipotente che
sbaraglia gli avversari,
non un Dio vincitore da corrompere e convincere, da blandire e sedurre,
no.
Un Dio schivo e amorevole, timido, quasi.
Un Dio nascosto, che vuole essere amato per ciò che è, non per ciò che
dà.
Un Dio che vale la pena di seguire, talmente bello da dimenticarsi di sé,
pur di conoscerlo.
Un Dio che vale la pena di conoscere al costo di perdere ogni cosa, un
Dio che è più
di ogni affetto, più di ogni gioia, più della più grande cosa che
possiamo possedere.
Un Dio che vale la pena di conoscere, anche a costo di perdere la
faccia.
Perdere la faccia per Lui, svergognarsi, così come la vergogna più
grande
per il mondo antico era essere crocifissi, nudi, ostesi al pubblico, la
più temuta e odiata
forma di umiliazione che i romani, tra gli altri, infliggevano come
somma punizione.
Vergogna al punto che anche le prime comunità cristiane
stentavano a usare la croce come segno di appartenenza.
Fino a che, dice Gesù, non ci saremo appassionati di Lui al punto da
poter
perdere la faccia, al punto da essere con crocifissi con Lui, avremo
ancora uno
spazio di crescita nella nostra consapevolezza della sua vera identità.
Santa Domenica Fausto.