sabato 29 settembre 2012

Il Vangelo della 26° Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo (Marco 9,38-43.45.47-48) anno B.
Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che
scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato,
perché non era dei nostri».
Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è

nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito
dopo possa parlare male di me.
Chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio

nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli

si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco,

che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.
Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare

nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio

con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,
dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

Parola del Signore.
Fra voi non sia così; domenica scorsa il Maestro ci ricordava come tra i fratelli
cristiani le relazioni, i rapporti sono diversi dalla logica del mondo.
Se è normale al lavoro, nello sport, in politica ambire a successi, primeggiare,
anche a scapito degli altri, questa violenza che nasce dentro,
è bandita tra i fratelli cristiani.
È normale ambire a successi e gratificazioni, anche a scapito degli altri.
È evangelico decidere di mettere la relazione fra le persone prima di ogni cosa.
È normale che anche nella Chiesa si difendano piccoli privilegi.
È evangelico scegliere di servire i fratelli con verità e umiltà.
È normale fuggire la sofferenza e la croce.
È evangelico vedere come, a volte, la sofferenza diventa strumento
inevitabile per testimoniare la misura dell’amore.
Non è dei nostri; quante volte l’ho sentito dire nei paesi, tra i tifosi,
in ambito politico, riguardo alla spinosa questione dell’immigrazione e,
ahimè, quante volte l’ho sentito dire tra le comunità dei discepoli del Signore Gesù.
Non è dei nostri; abbiamo bisogno di distinguerci, di essere in qualche
modo riconoscibili, identificabili.
Nel mondo globalizzato sentiamo di non valere nulla, di non contare nulla,
di essere un numero, una virgola , abbiamo bisogno di emergere,
fosse anche fare gli imbecilli in un reality show.
Questo legittimo bisogno, che può e deve esistere anche nelle comunità,
e che diventa legittimo senso di orgoglio e appartenenza, storia di una qualsiasi
parrocchia con le sue vicissitudini, col senso di familiarità, che ci dona la gioia
di essere accolti e riconosciuti in ambito fraterno, può degenerare in una sorta
di distinguo che contraddice il vangelo.
Negli ultimi decenni lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa cattolica numerose
e innovative esperienze di fede; movimenti e associazioni hanno saputo cogliere
di più e meglio, rispetto alla consolidata e però talora stanca esperienza
delle parrocchie, la novità dell’annuncio.
Esperienze di preghiera forti e carismatiche, riflessioni e impegni concreti,
una forte appartenenza a un’intuizione che oltrepassa i confini delle parrocchie.
Ritengo seriamente che tale abbondanza di intuizioni sia un dono del Signore, ma che
come ogni dono, non ci sentiamo padroni assoluti, per poi creare distinguo e malumori.
Ho visto gruppi dividersi in gruppi e gruppetti, ho visto zelantissimi neoconvertiti
creare caos per guadagnare qualche persona da incorporare nel proprio gruppo a
scapito dell’altro gruppo, ho visto persone diventate devote grazie alla conversione,
tranne poi sentirsi piene dei dio in terra e snobbare gli altri fratelli, praticamente
sentirsi degli ultras della fede.
Non ci sono solo gli ultras sugli spalti, ma anche quelli che vanno allo stadio una
volta all’anno e i nostri gruppi anche con persone impegnate, devono fuggire
la tentazione forte di diventare selettivi.
I gruppi, assieme alla parrocchia, devono accogliere senza sentirsi superiori,
tutti quelli che bussano alla porta della Chiesa, nella disarmante semplicità che allarga
le maglie delle proprie sicurezze ed entra nella logica del seminatore che non
controlla il tipo di terreno su cui semina.
In questo mondo che sempre meno capisce e tollera la presenza cristiana, dobbiamo
impegnarci a fondo, senza paura, e far trasparire la nostra logica cristiana.
Uno sguardo ottimista sulla realtà e sul cammino dell’uomo, sguardo del Nazareno,
ci permette di riconoscere e valorizzare i tanti semi di bene e di luce che lo Spirito
semina nel cuore dei non credenti.
Noi siamo lo spazio pubblicitario di Dio per il mondo, chiamati a vivere rapporti
al nostro interno da salvati, e a far diventare le nostre piccole e acciaccate comunità,
segno di speranza per i cercatori di verità.
Viviamo con leggerezza evangelica, è Dio che converte e salva il mondo,
non noi, al massimo possiamo metterci a disposizione, cercando di non ostacolarlo.
Santa Domenica Fausto.

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