In quel tempo, Gesù uscito dalla regione di Tiro,
passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea
in pieno territorio della Decàpoli.
E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le
dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;
guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro
e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua
lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno.
Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore,
dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Parola del Signore.
In questa Domenica un’idea di fondo lega la Parola; la guarigione.
Il Vangelo insiste; Gesù ci guarisce dalle nostre malattie,
dalle nostre cecità e sordità, dai nostri disagi.
La gente è soddisfatta, fa bene ogni cosa, fa udire i sordi e fa parlare i muti!
Penso però alla fronte corrugata di qualcuno che sta leggendo.
Vedo lo sguardo arrabbiato di quell’amica che ho trovato nel pellegrinaggio
e mi ha confidato che il marito vuole divorziare e lei è in piena crisi, quello
di quella mamma che ha chiesto preghiere per la sua piccola bimba che
è ricoverata in ospedale con una malattia sconosciuta, vedo la fatica sul volto
di una nostra amica che non riesce più ad usare le braccia
e il marito fa fatica ad accettare.
E Gesù guarisce, ci dice il Vangelo!
Spesso parlando di questa Parabola, scivoliamo nella retorica, scordandoci che
il dolore e la malattia stravolgono una vita e, il più delle volte, annegano la fede.
Preferisco cento volte essere guarito che offrire la mia sofferenza in
comunione a Gesù in croce, non diciamo fesserie!
Avete ragione, occorre capirsi.
Marco non intende proporre un Gesù taumaturgo fine a se stesso, un Gesù primario
di un’universale clinica delle guarigioni, un probabile Harry Potter che soddisfa ogni esigenza.
Migliaia di lebbrosi circolavano sulle strade polverose della Palestina e pochi
di essi furono sanati, migliaia di ciechi disperati chiedevano l’elemosina
ai bordi delle strade e pochissimi riebbero la vista.
Allora qualcosa non quadra secondo la nostra logica.
Ma Gesù ha maturato in sé una certezza; non è vero che “basta la salute”.
L’uomo vuole immensamente di più, necessita di molte più cose.
Abbiamo bisogno di guarigioni, certo. Ma molto di più, ci serve la felicità.
Per il pellegrinaggio a Medjugorje, sono andato in una famiglia con un
bimbo portatore di handicap, sono rimasto perplesso vedendo la gioia
di quella mamma nell’accudire il suo bambino.
Ho visto il gesto annoiato di chi ha tutto, salute, successo,
denaro e annega in una pasticca di droga. Di noia si può anche morire.
Un desiderio ho sempre coltivato nel mio cuore, un desiderio
colmo di ingenuità, (ma ci sono riuscito); intervistare i miracoli di Gesù.
Ho l’impressione, sicura, che dopo la guarigione non sia solo
avvenuto il miracolo della salute, ma quello della salvezza.
Di fronte a un malato Gesù chiede: “Che cosa vuoi che ti faccia?”.
Assurda questa richiesta? Vuole la guarigione! Ne siamo proprio certi?
Gesù sa che solo qualcosa di più grande può rendere felice il cuore dell’uomo.
Come i dieci lebbrosi guariti, di cui uno solo, straniero, torna a ringraziare,
Gesù dice: “Dieci sono stati sanati, ma uno solo si è salvato”.
La malattia è mistero e misura del nostro limite, sofferenza e croce.
Ma peggio della malattia c’è l’assenza di senso.
Gesù, guarendo, sta dicendo che il Regno ormai è arrivato,
che la presenza del Padre sta contagiando il cuore di ogni uomo.
Qual è la nostra malattia?
Quale sofferenza abbiamo nascosto in questi anni, per non ferire il nostro
sposo o sposa o il nostro figlio?
Quale cruccio dell’infanzia, quale tragedia nella nostra famiglia
hanno spento il nostro sorriso?
Quale paura teniamo nascosta nella cantina del nostro castello interiore?
Quale debolezza psicologica frena lo slancio del nostro passo?
Gesù ci guarisce. Gesù ci salva. Gesù ci ama.
È per questo che Isaia, spalanca gli occhi davanti a un popolo rassegnato, sfiancato da
settant’anni di prigionia in Babilonia, ormai convinto che Dio non ci sia più, e sogna.
Sogna un ritorno, una terra in cui la sofferenza non esiste più e l’abbondanza
delle acque riempie i cuori.
Un sogno, che è anche quello di Dio e che si avvererà, per Israele,
con il ritorno a Gerusalemme e, per noi, con la venuta del Regno.
Questa salvezza, questa buona notizia, questo gioioso annuncio, ammonisce Giacomo,
dev’essere visibile sin da ora nelle nostre comunità.
Se l’asfalto del conformismo ha appiattito l’attenzione al povero,
Giacomo ci richiama con forza alle nostre responsabilità di salvati
La Chiesa, che è il popolo di chi è stato sanato dalle proprie ferite con l’olio della consolazione
di Gesù, imita lo stesso gesto verso l’umanità fatta a pezzi e ferita dall’odio e dal peccato.
Tempo fa, mi sono trovato con un uomo, scosso per una morte improvvisa e ingiusta,
che gettava nel caos il futuro di una famiglia, mi diceva con rabbia: “Dio dov’è?”.
Ed io, con lui, sono andato in chiesa, e ho pregato: “Dio, dove sei?”.
E Lui mi ha risposto: “E tu dove sei?”.
Vediamo se possiamo inventarci qualcosa per aiutarli!
Buone notizie, allora, Dio si serve di noi per essere vicini ai fratelli sofferenti e persi.
Noi siamo il volto di Dio per i fratelli sconfitti, perché con il nostro aiuto
possano ritornare nella gioia.
Santa Domenica Fausto
Nessun commento:
Posta un commento