In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i
villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per la strada
interrogava i suoi discepoli dicendo:
«Chi dice la gente che io sia?».
Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista,
altri poi Elia e altri uno dei profeti».
Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?».
Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo».
E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva
molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani,
dai sommi sacerdoti e dagli scribi,
poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente.
Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo.
Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli,
rimproverò Pietro e gli disse:
«Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio,
ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire
dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria
vita per causa mia e del vangelo, la salverà.
Parola del Signore.
Questa nostra domenica rappresenta senz’altro un nodo della tela dell’anno
liturgico, uno di quei punti su cui soffermarsi con attenzione, perché Gesù
ci fa passare da un piano di riflessione superficiale (a cui spesso adeguiamo la nostra
fede ridotta a moralità o a moralismo) a uno scontro diretto con ciò che siamo nel profondo.
Il contesto del Vangelo di Marco lo sapete, ormai; l’evangelista vuole dimostrare
che Gesù è Figlio di Dio, e qui, a metà del suo vangelo, dopo miracoli, prodigi,
discorsi, moltiplicazione dei pani, pone l’interrogativo ai suoi seguaci.
C’immaginiamo la scena.
I Dodici, gongolano, hanno tra le mani un futuro di grande carriera politica
e religiosa; Gesù piace, è credibile, ha successo e gratifica.
Ma Gesù non ci sta, vuole di più e pone la domanda: “Chi dice la gente che io sia?”.
Allora, come oggi, si parla molto di Gesù, sui giornali, nei dibattiti e tra amici.
Chissà perché la fede è un argomento che emerge timidamente,
quasi con vergogna, alla fine di una cena tra amici…!
E Gesù ci sta. Chi dice che io sia, la gente?
Le risposte le sappiamo; un grand’uomo, un uomo mite, un messaggero di pace.
Tutto vero, ma ci si ferma qui; difficilmente si accetta la testimonianza
della comunità dei suoi discepoli; Gesù è Cristo, Gesù è Dio stesso.
È meglio mantenersi nel vago e rassicurante convincimento che Gesù
è una personalità della storia da ammirare, ma che nulla ha a che
vedere con la mia vita, meglio gestire il rapporto con Gesù riducendolo
a memoria storica, invece che ammettere un’inquietante presenza.
Meglio dar retta alla teoria di moda per dire sempre e solo una cosa, da duemila anni;
il Gesù vero non è quello (sconcertante) che vi hanno raccontato…!
Gesù non ci sta e, a bruciapelo oggi a ciascuno di noi la domanda: “Voi chi dite che io sia?”.
Già….e per me?
Per me solo, dentro, senza l’assillo di dare risposte sensate o alla moda,
senza la facciata e l’immagine da tenere in piedi?
A me, nudo dentro, Gesù che dice? Quante risposte!
Gesù diventa una speranza, una nostalgia, una tenerezza, la tenerezza del
sogno dell’uomo che vorrebbe credere in un Dio vicino, che condivide, che partecipa.
Oppure, attenti al rischio catechismo, abbiamo la risposta
confezionata: “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”.
Affermazione “corretta”, ma così lontana dal cuore!
La folla l’aveva riconosciuto il Messia.
Così i discepoli, così gli apostoli, così la comunità di Roma a
cui Marco indirizza il suo vangelo. Ma, in realtà?
Gesù subito presenta ciò che significa essere Cristo; donarsi fino alla morte.
E qui restiamo sgomenti, sbalorditi, scandalizzati.
Ma come…e allora il Dio onnipotente, efficiente,
che interviene a sanare le nostre malattie, dov’è?
Sicuramente c’è, ma dopo essere passato nella scandalosa logica della croce.
Non diciamo che Gesù è Cristo, se prima non siamo saliti con Lui sulla croce.
Non osiamo fare questa affermazione, se prima non abbiamo assaporato
l’esagerazione e la sofferenza del dono, se prima la nostra vita non è stata
arata e scavata dal solco della croce, se prima non abbiamo amato fino a star male,
se il nostro cuore non è stato convertito dal dono della compassione.
La croce diventa misura del dono, giudizio sul mondo,
unità di misura del nuovo sistema di amare il fratello.
Anche Pietro e gli altri dovranno passare per il Golgota prima di
entrare definitivamente nella logica del Regno.
Isaia intuisce e profetizza questa nuova prospettiva di un Messia sofferente,
e Giacomo ci ricorda che la nostra fede non si ferma alle parole, ma diventa gesto,
e che solo così testimoniamo di avere incontrato il Cristo Signore.
Basta così amici.
Prendetevi il vangelo e lasciatevelo entrare nel cuore e nella pelle,
per affermare con verità che Gesù è davvero il nostro Signore, il nostro Cristo.
Santa Domenica a tutti, Fausto.
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