sabato 11 maggio 2013

Il Vangelo della Domenica dell’Ascensione.


Dal Vangelo secondo Luca (24,46-53).
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto:
il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno
e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione
e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.
Di questo voi siete testimoni.
E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso;
ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.
Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo.
Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia;
e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Parola del Signore.
“È questo il tempo in cui ristabilirai il regno di Israele?”.
La domanda degli apostoli—all’apparenza innocua—formulata qualche minuto
prima dell’ascensione di Gesù, è di quelle che ammazzerebbero un bisonte!
Mi sarebbe piaciuto essere presente, per vedere l’espressione
di Gesù che scuote la testa sospirando, nel sentirla!
Facciamo allora, il riassunto di quello che ci pareva di aver capito;
Gesù di Nazareth, figlio di Giuseppe, ha percorso le strade della Palestina
per svelare il vero volto di Dio; affascinato, dodici uomini lo hanno seguito,
condividendo tre anni di emozioni, di fatiche e di entusiasmi; poi la tragedia,
le cose precipitano, Gesù entra in rotta di collisione
con il potere dell’epoca e viene travolto.
Fine, stop, addio.
Confusione e amarezza regnano tra gli apostoli dopo la morte ignominiosa del Maestro.
Poi l’inaudito; Gesù risorge, appare, spiega, svela chi è veramente,
Egli è più di un Rabbì, più di un profeta, più del Messia, Gesù è la presenza
stessa di Dio venuto a svelare definitivamente il suo volto.
Bene! Ora sappiamo chi è Dio, cosa vuole, cosa sogna, cosa prova.
Ed è tutto così distante dall’immagine grottesca con cui—troppo spesso—lo
abbiamo dipinto; Dio non è un ragioniere divino, un corrucciato tutore dell’ordine,
un incomprensibile gestore dei destini dell’uomo da tenere buono,
non è un sommo egoista bastante a se stesso.
Il Dio di Gesù Cristo è un Dio Padre che abbraccia e rende adulti,
che accompagna, presente eppure nascosto, il cammino di ognuno di noi.
Sembra una splendida fiaba finita bene; Gesù che ora regna,
gli uomini che—finalmente!—comprendono.
Capiamo, ora, la domanda?
Gli apostoli, provati e rinati, prima amareggiati e ora ristabiliti nella speranza,
già si vedono alla destra del Signore, ministri del nuovo regno di Dio.
Gesù sorride, promette lo Spirito Santo e se ne va.
Finisce il suo tempo, ha compiuto la sua missione, ora sta a loro,
agli apostoli, continuare.
Che fregatura! Gesù se ne va e ci lascia la Chiesa!
Scambio sfavorevole, che dite?
Non siamo tutti, come gli apostoli, un po’ delusi da questa scelta?
Ma come, proprio adesso che le cose funzionavano Gesù ci molla?
Torna al Padre e noi qui a tribolare? Forse è così.
Ma se, invece, Gesù avesse voluto dirci qualcosa di nuovo? Di inatteso?
Se davvero nei progetti di Dio ci fossimo noi?
Sì, amici, l’Ascensione cambia la nostra idea di Dio.
Non più un Dio “pappa fatta”, che regna sovrano e ripiana
i problemi, supera le difficoltà.
No. Il Dio presente, il Dio in cui crediamo è il Dio che si fida, che accompagna,
ma affida il cammino del vangelo alla fragilità della sua Chiesa.
Il Regno sperato dagli apostoli occorre costruirlo.
La nuova dimensione voluta dal Signore non è magica, ma pazientemente
intessuta da ognuno di noi e in ognuno di noi.
L’Ascensione segna la fine di un momento, il momento della disperata ricerca di Dio,
con la rassicurazione, da parte di Dio stesso, della sua bontà e della sua vicinanza.
Ora è il tempo del costruire relazioni e rapporti a partire dal sogno di Dio che è la Chiesa;
comunità di fratelli e sorelle radunati nella tenerezza e nella franchezza del vangelo.
Accogliamo allora l’invito degli angeli, smettiamola di guardare tra le nuvole
cercando il barlume della gloria di Dio e—piuttosto—vediamo questa gloria
disseminata nella quotidianità di ciò che siamo e viviamo.
Il Signore ci dice che è possibile qui e ora costruire il suo Regno.
L’Ascensione segna l’inizio della Chiesa, l’avvio di una nuova avventura che vede
noi protagonisti.
Staremo ancora a naso in su a scrutare gli astri?
A implorare un intervento divino?
O non vedremo—piuttosto—questa presenza segnata nella fatica dell’accoglienza, nella
vita di fede, nel desiderio di un mondo più solidale da costruire giorno per giorno?
Coraggio, allora, Gesù non ci lascia soli, dobbiamo avere solo un
po’ di pazienza, poi arriva lo Spirito!
Santa Domenica dell’Ascensione, Fausto.

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