giovedì 12 aprile 2012

Col Cuore a Emmaus.

Meditiamo ora, anzi sfogliamo la stupenda pagine di Emmaus.
Vorrei qui invogliarvi a contemplare un poeta, questo poeta è Gesù.
Gesù che tutto annota, di tutto si commuove, di tutto fa tesoro:
“Un giglio nel campo, un tralcio nuovo sul tronco della vite,
i pulcini sotto le ali della chioccia, una pecora che si smarrisce,
un agnello appena nato, il fico che non fa frutto, le campagne ricoperte
di messi e di spighe bionde, l’acqua viva dei torrenti.
Gesù conserva tutto nel cuore, per restituircelo in parabole,
in paragoni, con un’efficacia e una attrattiva misteriosa.
Perciò sarebbe giusto che tutti noi spalancassimo l’animo alla sensibilità di Gesù, alla sua capacità
di amare tutti noi, alla sua capacità di istruirci attraverso le sua Parola.
Dobbiamo far si che il nostro ascolto delle sue parole non sia mai banale, superficiale, ma intenso,
sempre fervido, che la lettura delle pagine Sacre ci convertisse ogni volta, e ogni volta ci faccia
ardere il cuore come ai pellegrini di Emmaus.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette
miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Ed Egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”.
Si fermarono col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero
in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”.
Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta
potente in opere e parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri
capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno crocifisso”.
(Luca 24, 13-20)
Penso che la pagina di Emmaus tocchi in profondità ciascuno di noi.
È una delle pagine più belle di San Luca,
Da tutto il racconto traspare che il personaggio senza nome è l’autore stesso del Vangelo, Luca.
Lui e Cleopa sono i protagonisti di questo episodio che ha sconvolto non soltanto la mentalità
dei due discepoli, ma anche la mentalità degli apostoli, ma credo che riesca a sconvolgere
tutti coloro che si fermano davanti a questa pagine.
Il Vangelo ci presenta una strada, ci presenta due uomini che camminano su questa strada,
tristi, avviliti, sfiduciati.
La strada di Emmaus parte da un punto, quello delle speranze morte, le speranze infrante.
Quella strada, la strada che va verso Emmaus, è un po’ la strada di ciascuno di noi, è un po’
la strada della nostra civiltà, è un po’ la strada della nostra mentalità, la strada del mondo
di oggi che cammina all’insegna del pessimismo, dell’amarezza, dello scoraggiamento.
Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele, dicono i due pellegrini.
Quanta amarezza in questa espressione dei due che camminano!
E camminano tristi al tramonto del giorno in cui è esplosa la Resurrezione.
È l’assurdità dei cristiani spenti, che camminano sulle strade del mondo portando la tristezza,
mentre Cristo è risorto, mentre Cristo è vivente.
Alcune donne ci hanno sconvolti…. sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli,
i quali affermano che Egli è vivo…!
Mentre Cristo è vivo due uomini lo fuggono, si allontanano dal centro della città per restare
soli con la loro delusione.
Ma Cristo cammina dietro a loro.
Loro, quasi non se ne accorgono.
Forse un’ombra si intreccia fra le loro ombre, forse c’è un rumore di sassi dietro i loro passi,
ma loro non se ne accorgono
Finche Cristo prende l’iniziativa: “Che discorsi sono questi che vi scambiate?”.
I due si fermano, tristi: “Tu solo vieni da Gerusalemme e non sai che cosa è successo?
Un uomo nel quale si ponevano tutte le speranze….. e anche noi speravamo…..è stato crocifisso”.
Allora Gesù li riprende con dolcezza.
E credo che questo sia un profondo insegnamento per ciascuno di noi; li riprende e con loro sfoglia,
se vogliamo, le pagine della Sacra Scrittura.
Cominciando da Mosè e dai profeti, spiega tutto quello che riguarda il Messia e la sua sofferenza:
“Non bisognava che il cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria?”.
Il Rabbì di Nazareth è risorto anche come Maestro.
Sulla strada che porta al villaggio di Emmaus, i due disorientati pellegrini ne sentono
poco a poco l’ineffabile calore e l’efficacia.
Qualcosa comincia lentamente a disegnarsi nella mente dei due; e arrivano a Emmaus.
È il tramonto e la notte arriva in fretta, è necessario fermarsi in questo piccolo villaggio;
ma lo straniero fa come se dovesse proseguire.
Allora sgorga dal cuore di questi discepoli una preghiera: “Resta con noi Signore, perché si fa sera!”.
E la sera si fa per tutti noi, c’è su tutte le giornate umane una sera; c’è sulle civiltà che muoiono,
c’è sulla storia che passa, c’è sulla vecchiaia che avanza, sui capelli che imbiancano,
sulle sofferenze che incombono.
Su ogni strada si fa sera, per tutti.
Non esiste vita umana che non abbia una sera; se non altro, la sera della delusione, la sera
dell’amarezza, la sera dei limiti, la sera nella quale ci si accorge che le creature non sono che creature.
Non è un po’ la strada di tutti, la strada di Emmaus?
Nessuno di voi ha fatto l’esperienza della tristezza, dell’amarezza, della speranza morta?
Nessuno di voi ha conosciuto l’umidità delle lacrime nella notte che scendono?
E nessuno di voi vorrebbe scoprire in questo momento l’urgenza di dire: “Resta con noi”,
a questo Qualcuno che ci fa toccare i nostri limiti, che ci fa incrociare le nostre solitudini?
E allora, diciamoglielo ora, insieme, diciamolo qui a Lui, l’Unico, il Necessario:
“Rimani con noi, Signore!”.
Non perché oggi si è fatta sera, ma perché si fa sempre sera in noi, intorno a noi,
nel nostro cuore e nel cuore degli altri.
È una preghiera se vogliamo, dolcemente interessata, d’altra parte è la preghiera genuina che fiorisce
sulle labbra umane toccate dalla sera. Ma Cristo ascolta anche questa preghiera e rimane con noi.
Ce lo dice San Luca, il pellegrino di Emmaus.
Cristo rimane e ci porta ad un appuntamento; ci dà appuntamento ad una mensa.
La sua proposta, dopo averci fatto comprendere il senso delle Scritture, è il traguardo finale verso
cui le Scritture portano; la Cena dove si spezza il Pane; l’Eucaristia.
Dice il Vangelo: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma Lui scomparve alla loro vista.
A questo punto c’è un gesto, ed è l’ultimo gesto che questi due discepoli compiono.
Hanno imboccato questa strada all’insegna della delusione, tornano indietro su questa
stessa strada all’insegna dell’entusiasmo.
Ritornano a Gerusalemme per dire a tutti che Cristo è veramente resuscitato, che Cristo è vivo,
che lo hanno veduto e gli hanno parlato!
È questo gesto che bisogna ripetere tutti.
Quando uno ha scoperto Cristo non può non correre, anche se è lontano come era
lontano il villaggio di Emmaus; anche se è notte, deve correre, deve andare dagli altri per dire:
“Il nostro cuore ardeva mentre ci spiegava le Scritture e lo abbiamo riconosciuto allo spezzare del Pane”.
Corriamo anche noi verso gli altri!
Quanti hanno bisogno di sentire che c’è Gesù!
Molti sono ancora all’imbocco della strada, molti sono ancora lontani da quella mensa.
E allora torniamo indietro a dir loro: “C’è Gesù che cammina sulla strada, c’è Gesù con te”.
Non dare testimonianza agli altri che Cristo è risorto; sarebbe un tradimento a Cristo,
sarebbe mettere ancora una volta una pietra fredda sul sepolcro della sua Resurrezione,
sarebbe soffocare la Resurrezione.
Se avete visto Gesù, se lo avete scoperto, se Lui ha camminato con voi, se avete sentito il vostro
cuore ardere, palpitare mentre Lui vi parlava, allora dovete sentire il bisogno di dirlo agli altri.
È questa la consegna di Emmaus.
“Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni
da quando queste cose sono accadute……..!
Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne,
ma Lui non l’hanno visto”. (Luca 24, 21-24)
Abbiamo ascoltato che i due pellegrini di Emmaus sono fuggiti da Gerusalemme, sono fuggiti
dal prodigio della Resurrezione senza volersi rendere conto che la storia è trasformata.
Se ne tirano fuori perché sono soli.
Abbiamo parlato più volte della solitudine.
Esiste una solitudine che è la più terribile, ed è la solitudine con noi stessi.
Questi uomini sono soli non perché non abbiano nessuno vicino; sono soli soprattutto perché
sono vuoti dentro, i loro orizzonti sono estremamente limitati.
Questa è la solitudine dei discepoli sulla strada di Emmaus.
Aspettavano la restaurazione del Regno di Israele e hanno avuto una disfatta.
Aspettavano forse posti di privilegio, magari nella reggia di questo Rabbì,
e invece sono stati testimoni della croce.
Allora fuggono amareggiati, quasi scandalizzati, e prendono la strada della campagna,
la strada dell’evasione.
Perché quando c’è solitudine dentro di noi, si evade.
Ci sono tante forme di evasione.
Ci sono le evasioni dal frastuono,
ci sono le evasioni dalle amicizie indesiderate;
ci sono le evasioni dalle telenovele;
ci sono le evasioni dalla TV spazzatura, ci sono tante evasioni.
Non c’è pienezza dentro di noi; e allora si va questuando fuori, questo qualcosa che ci manca dentro,
si cerca qualcosa, “per uso esterno”.
Noi andiamo sempre alla ricerca di una medicina per uso esterno; non vogliamo penare,
far fatica dentro di noi, e cerchiamo qualcosa che non ci faccia soffrire.
Non vorremmo far fatica a stare svegli e chiediamo ad una compressa che ci faccia dormire.
Non vorremmo fare il sacrificio di essere genitori e chiediamo di diventare assassini dei figli concepiti.
Non vorremmo sacrificarci per i nostri figli, perché c’è di mezzo la carriera,
perché si vuole essere indipendenti e allora bisogna per forza di cose lavorare in
due altrimenti i soldi non bastano per i divertimenti, allora si chiede aiuto agli asili nido,
alle tate per i figli che tante volte diventano le tate anche dei papà dei bambini, per poi
dividere la famiglia, tutto per colpa dei figli, quante colpe hanno questi figli!
Sempre dall’esterno le nostre evasioni, sempre all’esterno andiamo a elemosinare.
E così si cammina sulla strada che è la strada del vuoto, della solitudine.
Credo che ognuno di noi abbia sperimentato la solitudine delle evasioni da Dio.
Abbiamo puntato tutto sulla felicità umana, sull’onestà umana, sulla legge umana, sull’amore umano.
E invece quante cose sono scomparse,
o si sono infrante, o ci hanno lasciato!
Abbiamo creduto alle parole e le parole sono morte, ci siamo attaccati a qualcosa che non reggeva,
e ci siamo sentiti soli; mentre se vogliamo c’è una presenza tutta per noi.
C’è una presenza continua che si offre, che bussa ai cuori degli uomini, specialmente
quando i cuori degli uomini avvertono le delusioni, i crolli.
Cristo però è sulla nostra strada per risollevarci a sé e farci ardere il cuore.
Non dobbiamo perciò andare ad elemosinare fuori, all’esterno, la medicina che attende
di riversarsi in noi, di cambiare la nostra storia, di riscaldare il nostro cammino, ce l’abbiamo
a portata di mano è li assieme con noi che cammina con noi è Cristo Risorto.
Ed Egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!
Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, Egli fece come se dovesse andare più lontano.
Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino”.
Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, o spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Ma Lui sparì dalla loro vista. (Luca 24, 25-31)
La sera della Pasqua, Gesù Risorto apparve ai discepoli che erano rinchiusi nel
Cenacolo per paura dei giudei.
Questa apparizione è molto importante per tutto ciò che il Signore dice e
promette alla sua piccola Chiesa.
Ma è estremamente commovente anche il fatto che a Gesù non sia bastato incoraggiare
gli Apostoli nel Cenacolo, ma che alla stessa ora Egli abbia voluto ricercare anche due pecorelle
smarrite, abbia voluto raccattare due dracme cadute, due anime disperse sui ciotoli di una strada.
Gesù fa tesoro di ogni anima.
E per due sole anime Egli prende la strada di Emmaus e sfoglia le Scritture.
Qui vorrei sottolineare una cosa significativa.
Cristo spiega le Scritture, è vero, ma i discepoli hanno soltanto bisogno di capirne il senso,
di saperle interpretare; non sembra che i due ignorino i testi Sacri.
Vuol dire che non sono come i cristiani di oggi, che hanno fermato la loro educazione religiosa
alla prima Comunione, crescendo nel corpo e rimanendo piccoli nell’anima.
Esiste una specie di squilibrio di cui noi tutti siamo vittime e protagonisti.
È lo squilibrio tra il nostro sviluppo fisico e il nostro sviluppo religioso.
Dal punto di vista religioso siamo purtroppo dei neonati immaturi.
Crediamo di sapere qualche cosa e non sappiamo nulla.
Quanta ignoranza!
Come sarebbe importante anche per noi ricominciare da Mosè e approfondire la Scrittura!
Ricordiamoci che la fede non è un sentimento.
Ricordiamoci che la fede non è una tradizione.
Ricordiamoci che la fede è una conquista.
Quando dico che non è un sentimento, dico che non è un palpito del cuore.
Quando dico che non è una tradizione, dico che non è un’abitudine.
E quando dico che è una conquista, dico che si tratta di far si che la nostra intelligenza
sia partecipe della nostra fede.
Si tratta di nutrire la fede non solo con il cuore, ma anche con la mente.
Quando ci tocchiamo la fronte facendo il segno di croce, quasi carichiamo questo legno
della croce sul nostro corpo, come per dire; la mia fede nasce qui, dalla mia fronte,
dalla mia intelligenza; poi diventerà fede che pulsa e che riscalda il cuore; e poi diventerà
luce operativa attraverso le mie braccia.
Soltanto dopo aver scoperto il Signore come Maestro, noi sentiremo che
Lui diventa per noi l’insostituibile, diventa per noi il rapporto irrinunciabile;
e questo rapporto avrà bisogno di sfogarsi in preghiera.
E non mi dite che non sapete pregare!
La preghiera non è una formula.
Ognuno prega come ama; e nella misura in cui uno ama, uno prega.
Perché la preghiera è un rapporto personale con questo “Tu, che è Dio; un rapporto irripetibile.
Non serve una scuola di preghiera, come non serve una scuola di amore; ognuno ha
un rapporto diverso con l’altro.
La meravigliosa sinfonia del paradiso, sarà ascoltare questo linguaggio diverso i ogni cuore
con il suo Dio, di ogni anima con Cristo.
Resta con noi, perché si fa sera!, pregarono i due pellegrini di Emmaus.
Ognuno ha la sua preghiera, come ognuno ha la propria anima, come ognuno ha la sua ora di Emmaus.
Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con
noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici
e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è Risorto ed è apparso a Simone”.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto
nello spezzare il pane. (Luca 24, 32-35)
I due pellegrini di Emmaus tornarono a Gerusalemme per raccontare ogni cosa
agli Undici e a quelli che stavano riuniti con loro.
Il Vangelo di Luca si chiude qui.
Però vorrei invece, concludere con uno spunto particolare:
“Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi…..
Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano…..
C’erano Pietro, Giovanni, Giacomo e Andrea……
Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune
donne e con Maria, la Madre di Gesù”. (Dagli estratti degli Atti degli Apostoli)
Dunque, si può dedurre che la presenza di Maria fra gli Undici non si è mai interrotta
in Gerusalemme, dal Golgota in poi.
La comunione con Maria è stata certamente il dolce grembo della Chiesa nascente.
Maria ha portato nel suo grembo la Chiesa come portò in sé Gesù concepito.
Maria è Madre di Dio e Madre della Chiesa.
Allora perché non pensare che Lei fosse nel Cenacolo anche quella sera di Pasqua,
quando i due viandanti trafelati e commossi arrivarono da Emmaus?
Sì, Maria era là, mentre i due riferirono ogni cosa, la loro tristezza iniziale e poi l’esplosione
della loro gioia per aver incontrato e riconosciuto Gesù.
Mi pare particolarmente toccante immaginare Maria che ascolta il racconto dei due
pellegrini e partecipa al loro entusiasmo, alla loro letizia, al loro stupore.
Si è detto che la strada di Emmaus è la strada di tutti gli uomini, è la strada di tutti noi,
la strada dove Gesù si accompagna a noi.
Ora vorrei aggiungere che sulla nostra strada, sul percorso dei nostri dolori e delle
nostre gioie, c’è sempre la presenza dolcissima di Maria.
Non pensate che Maria partecipi soltanto al nostro pianto, alle tristezze che tutti incontriamo
Maria partecipa anche alle nostre gioie.
Allora, la maternità di Maria è una maternità capace di godere dolcemente con coloro che godono.
Maria non attende le occasioni della sofferenza per avanzare verso di noi,
non attende i momenti dolorosi per farsi vicina.
Essa ci offre la sua materna partecipazione, la sua celeste tenerezza, anche
nei momenti della nostra gioia.
Essa implora l’intervento del suo Divino Figliolo non solo quando spera di evitarti la croce,
ma anche quando spera di ottenerci una gioia.
Essa è non solo la; “Consolatrice degli afflitti”, ma è anche la; “Causa della nostra letizia”,
è Colei che chiede al Signore di trasformare l’acqua in vino affinché la nostra festa sia piena.
Maria è la Madre di tutti i miracoli di Gesù sulla nostra strada.
E come là, nel Cenacolo, Essa brilla sulle tristezze e sulle gioie della Chiesa nascente,
possa Essa altrettanto brillare sul nostro cammino di fedeli!
Concludendo, si è detto che viene per tutti l’ora del buio interiore,
del dubbio e della delusione amara.
È questa l’ora di Emmaus ed è l’ora in cui Cristo, con dolcezza e tenerezza, ci accompagna suscitando
in noi il desiderio e la nostalgia di comprenderlo, il bisogno di sentirci ardere il cuore….
Anche noi abbiamo bisogno che la nostra mente si apra, perché anche noi siamo stolti e tardi di cuore……
Anche noi stentiamo ad accogliere pienamente la parola di Dio e a farla nostra.
Facciamo un esempio, quanti di noi possono dire di essere riusciti a leggere e a
capire tutto il Vangelo, e sentirsi in armonia con quello che si è letto.
Spesso invece non è così.
Anche nel Vangelo ci sono pagine che non siamo riusciti a fare nostre del tutto.
Perché? Perché siamo tardi di cuore!
Tardi a capire Gesù che ci rivela il Padre.
Ogni pagina del Vangelo trabocca di amore, ma noi non ce ne accorgiamo, non ne facciamo tesoro.
Per fare un esempio; prendiamo la parabola dei vignaioli.
A voler essere sinceri, un po’ di ragione gliela diamo a quei poveri operai della prima ora,
scontenti di vedersi retribuire come quelli dell’ultima ora;
“Stolti e tardi di cuore, potrebbe dire anche a noi Gesù”.
E siamo davvero duri di cuore, altrimenti ci sarebbe facile comprendere il cuore
del padrone della vigna; ai tempi della parabola, la paga giornaliera di un operaio
dei campi bastava appena a sfamare le necessità di una famiglia; il padrone della vigna
volle promettere il giusto agli operai della prima ora, ma volle andare incontro anche
a quei poveri disgraziati che non avevano trovato nessun lavoro per quel giorno.
Chi avrebbe sfamato quelle bocche se il padrone, invece di averne pietà,
li avesse pagati solo con una miseria?
Egli fu benevolo con tutti coloro che aveva trovato sulla sua strada, sia i fortunati
della prima ora che gli sfortunati dell’ultima ora.
Fu ugualmente buono con tutti, perché essi avevano tutti uguale
dignità e uguale diritto ad essere sfamati.
E noi, stolti di cuore, siamo così cattivi da giudicare ingiusto che gli
sfortunati vengano sfamati come noi?
Siamo così cattivi da giudicare giusto che mentre noi ci sfamiamo, gli altri restino affamati?
No, noi non sappiamo cos’è amare ne cos’è essere giusti.
Un altro esempio.
Pensiamo al fratello maggiore del figliol prodigo, pensiamo ai rimproveri che lui rivolge
al padre: “Non c’erano stati vitelli grassi e feste per lui”.
Per la verità, credo che questi rimproveri sarebbero usciti anche dalla nostra bocca se fossimo
stati al posto di quel figlio maggiore.
Duri di cuore davvero anche noi….
Perché noi non soffriamo nel vedere un’anima perdersi e abbruttirsi nel peccato,
non soffriamo per un’anima che si rovina nella corruzione e nel vizio; non ci sentiamo feriti
quando un fratello ferisce Dio, quando pecca contro Dio.
Se avessimo sofferto quanto soffrì il padre per quel figlio traviato, per quella coscienza distrutta,
per quella purezza infangata, avremmo fatto festa con il padre, con la stessa gioia di lui!
Avremmo gioito anche noi per il ritorno del fratello prodigo, avremmo esultato anche
noi ad ascoltare quella confessione, quel pentimento: “Padre, ho peccato contro
il cielo e contro di te; non sono più degno”.
Ma noi siamo tanto cattivi da pensare ai vitelli grassi quando c’è un’anima che si salva!
Noi non sappiamo amare, amiamo di più quelle cose che si devono amare di meno e
amiamo di meno le anime, che invece a Dio premono più di tutto.
E gli esempi potrebbero continuare.
Preghiamo allora, che Gesù non scompaia in noi, come scomparve alla vista dei due
discepoli di Emmaus, che Gesù resti con noi oltre il declino; che resti con noi perché
non si faccia sera nella nostra anima, che resti con noi per educarci alla sapienza del cuore;
che resti con noi, Lui, che ha preso un volto per mostrarci il volto del Padre,
Lui che ci ha parlato per farci intendere la Parola del Padre, Lui che si è squarciato
il cuore per farci intravedere il cuore del Padre, Lui che ha avuto un solo desiderio,
sempre presente, riportare tutto e tutti al Padre, nel seno del Padre suo e nostro.
Rimani con noi, Signore!
Non tramontare!
E sarà la nostra conversione alla gioia!





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